GIOVANI E LAVORO: "È CAMBIATO IL LORO APPROCCIO ALLA CARRIERA"


Il mondo del lavoro sta cambiando repentinamente e con esso anche le competenze richieste in entrata. Un cambiamento che richiede un continuo upskilling e reskilling delle competenze.
Una continua richiesta di aggiornamento e apprendimento che può generare stress e ansia da prestazione, soprattutto nei giovanissimi che ancora non sono effettivamente entrati nello scenario lavorativo.

Quando si pensa ai giovani nel mondo del lavoro, scatta ormai automaticamente lo stereotipo che siano tutti fannulloni e non abbiano voglia di lavorare. Ma è veramente così? Sembrerebbe di no!
I giovani non è vero che non hanno più voglia di lavorare, non sono diventati troppo esigenti e non hanno nemmeno perso l’umiltà, la pazienza e il senso del dovere. In loro è cambiato l’approccio al mondo del lavoro, non accettando tutto a prescindere, ma utilizzando dei validi criteri di scelta come, ad esempio, crescita in termini di carriera professionale e benessere socioeconomico. I giovani di oggi sono disposti a lavorare a determinate condizioni rivendicando la possibilità che il lavoro non sia necessariamente la sola ragione di vita a cui sacrificare tutto, ma uno strumento con cui realizzarsi e stare bene.

La giornalista Sarah Jaffe, nel suo saggio “Il lavoro non ti ama” mette proprio in luce come la moderna concezione del lavoro sia malsana mettendo in evidenza come tutti siamo esauriti, in Burnout e sommersi di lavoro. Condizione che non solo incide negativamente sul proprio benessere psicologico ma anche nell’incapacità di conciliare lavoro e vita privata. Il lavoro odierno non è da concepire come vita perché come si può amare un lavoro che spesso è tossico, precario, senza possibilità di crescita e pagato poco o niente e che, intanto, «chiede di essere sempre reperibili, molto flessibili negli orari, volenterosi, sorridenti, disposti a mettere in secondo piano la vita privata» Ne vale davvero la pena?

Oggi, in particolare tra le nuove generazioni, non è accettabile sacrificare la stragrande maggioranza del tempo, della salute, del benessere psicologico, e delle energie per un lavoro che spesso non permette nemmeno di mantenersi, non lascia spazio alla crescita individuale, al tempo libero, alle passioni, alle relazioni, alla famiglia. Un lavoro non può essere inteso come quel qualcosa che toglie e depriva la persona, deve essere fonte di benessere, soddisfazione personale e agio economico.

Quello che sta capitando è proprio uno “scontro generazionale” sulla percezione del lavoro

  • La Generazione X (1946/1980) intende il lavoro come il sacrificio per ottenere un benessere sociale ed economico, quasi come un obbligo per mantenersi e fare carriera.
  • La Generazione Z (1981/2012) non concepisce il lavoro come uno strumento di realizzazione personale in termini materiali né come l’unico scopo della vita, anche perché sono cambiate anche le priorità attuali. Questo però non è da intendersi come sinonimo di “svogliatezza o poco impegno” si tratta di una generazione che si impegna e che non ha l’idea di lavorare per qualcuno, ma per uno scopo. Sono giovani alla costante ricerca di mentori da seguire e non di padroni a cui ubbidire. Si tratta di una generazione che sa bene cosa vuole e ha consapevolezza dei propri diritti.
Sul tema anche Ilaria Foroni, 25 anni, laureata in Economia e Gestione delle Arti e delle attività culturali, ricercatrice nell’ambito delle politiche culturali e unica italiana nel Board 2022 di Youthwise, il progetto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, destinato a giovani tra i 18 e i 30 anni; ha espresso il suo punto di vista sul tema sostenendo che l’aspetto economico rimane sempre uno degli elementi cardine per l’accettazione o meno di un posto di lavoro, e soprattutto, mette in evidenza come il concetto di futuro sia totalmente cambiato e percepito come instabile e insicuro. Questo determinato dal fatto che il mondo del lavoro è cambiato completamente rispetto al passato e le nuove generazione ha vissuto grandi crisi economiche e sociali.

Queste condizioni portano le nuove generazioni a formarsi sempre di più e a puntare a lavori all’estero “la fuga dei cervelli” per riuscire a trovare posti di lavoro dignitosi che permettano di ottenere un benessere a 360 gradi.

Le politiche del lavoro andrebbero riformulate per garantire ad ogni persona di status sociale e livello formativo, di trovare un impiego che risponda alle sue esigenze e permetta di vivere dignitosamente.