Il Burnout viene definito come sindrome tipica delle professioni che si occupano di relazioni di aiuto; si tratta di una reazione emotiva, cognitivo e comportamentale di allontanamento dalla fonte di malessere.
Tra le cause di questo malessere, oltre allo stress, abbiamo anche il grado di importanza che il lavoratore da all’impiego svolto; se ad esempio la persona investe tutto sul proprio lavoro (soprattutto nelle relazioni di aiuto) e fallisce, ci si sente di conseguenza falliti, sia nel lavoro sia nella vita privata. Più la relazione con la propria utenza è elevata, più si avranno probabilità di sviluppare il Burnout.
Per prevenirlo possono essere messe in pratica alcune strategie:
Per fronteggiare il problema è necessario “prendersi cura di chi si prende cura”. La soluzione ideale è quella di attivare una buona prevenzione, in modo tale da evitare che chi si prenda cura di qualcuno abbia bisogno a sua volta di aiuto.
(2) Emotivo: consapevolezza delle proprie emozioni, motivazioni, e vissuti. Più si conoscono questi aspetti, più si sarà in grado di comprenderli e gestirli;
(3) Organizzativo: supporto tra colleghi e professionisti del settore. Durante la formazione alle professioni va riaffermata la formazione non solo tecnico-professionale, ma anche quella personale, in quanto persona.
Prima di tutto è necessario conoscere le dinamiche implicite della sindrome, analizzare gli obiettivi e le aspettative personali, verificare la proporzionalità delle relazioni per evitare un sovraccarico (da uno o l’altro lato) e creare strategie di coping per evitare il ritiro, tipica risposta di Burnout.
Secondo l’autore gli interventi sulla sindrome sono i seguenti:
(1) Organizzare mirati aggiornamenti di sviluppo professionale
Il primo intervento è rivolto ai lavoratori in prima persona con lo scopo di ridurre i loro i livelli di stress lavorativo. Si tratta di un’accurata pianificazione professionale che li guidi verso obiettivi realistici e raggiungibili, di modo che le aspettative siano altrettanto realistiche. Tale pianificazione deve innescare meccanismi di controllo e feedback e prevedere anche momenti di formazione mirata per sviluppare strategie di coping per affrontare gli eventi stressogeni; riuscire a comprendere per prevenire e/o affrontare i conflitti; incoraggiare la formazione di gruppo di sostegno e orientare preventivamente i nuovi arrivati sulle difficoltà del lavoro.
(2) Un cambio delle mansioni e delle strutture di ruolo
Si tratta di intervenire nelle dinamiche professionali, in particolare su mansioni, ruoli, e compiti; il tutto volto ad evitare il sovraccarico che può portare allo sviluppo della sindrome.
È indispensabile che i luoghi del lavoro diventino flessibili in funzione delle diverse soggettività e delle diverse motivazioni lavorative, garantendo una maggiore ridistribuzione dei compiti (gratificanti e non); una maggiore turnazione; permettere ai lavoratori di prendersi dei giorni di riposo quando necessario; permettere di prendersi delle ferie non solo nei momenti di vacanza prestabiliti annualmente (Natale, Pasqua, estate); limitare, ove possibile, il numero delle ore lavorative; garantire a tutti e tutte la possibilità di fare carriera; assumere del personale ausiliario e non demonizzare il part-time.
(3) Pianificazione della gestione professionale-lavorativa
Un ruolo fondamentale è rivestito dalla Leadership che deve da un alto dare il buon esempio e guidare il gruppo di lavoro verso il raggiungimento degli obiettivi; e dall’altro essere in grado di risolvere specifici problemi organizzativi e intercettare le priorità. Qui è necessario creare delle buone prassi organizzative e monitorare i livelli di conflitto e di tensione ed intervenire se diventano eccessivi.
(4) Problem solving: risolvere e affrontare conflitti
Sebbene il lavoro appaia ben strutturato in termini di ruoli e attività ben distribuite, possono sempre verificarsi situazioni che generano conflitti a lavoro (interpersonali/organizzativi). Cosa fare? In questo caso è necessario intervenire creando delle strategie risolutive dei conflitti organizzativi; accentuare l’autonomia del personale e le capacità di prendere decisioni; e programmare percorsi di orientamento e formativi per capire l’entità dei conflitti e intervenire. Anche assegnare obiettivi chiari suddivisi per ruolo e mansione, previene l’insorgenza del Burnout.
Per fronteggiare il Burnout è necessario prendersi cura di chi si prende cura attraverso una buona prevenzione e interventi di trattamento quando necessario. Inoltre, le azioni preventive possono essere numerose e - non essendoci una terapia specifica - nasce la necessità di intervenire sul gruppo, sull’individuo e sull'organizzazione.
Fonti:
Maslach e Jackson (1986) definiscono il Burnout come un costrutto caratterizzato da tre dimensioni:
(1) Esaurimento emotivo: sensazione di essere svuotati, logorati, inariditi; (2) Depersonalizzazione: atteggiamento distaccato, cinico, ostile, freddo dell’operatore nei rapporti con l’utenza; (3) Ridotta realizzazione personale: percezione della propria inadeguatezza nel lavoro.
Cosa accade nei contesi lavorativi?
Lavorare all’interno di specifici ambiti non è semplice e questo può provocare una continua esposizione ad eventi stressanti che possono compromettere il benessere e il rendimento dei lavoratori; talvolta si sviluppa in loro logoramento emotivo e professionale, malessere psichico generalizzato e l’instaurarsi di una relazione disfunzionale con la propria utenza.Tra le cause di questo malessere, oltre allo stress, abbiamo anche il grado di importanza che il lavoratore da all’impiego svolto; se ad esempio la persona investe tutto sul proprio lavoro (soprattutto nelle relazioni di aiuto) e fallisce, ci si sente di conseguenza falliti, sia nel lavoro sia nella vita privata. Più la relazione con la propria utenza è elevata, più si avranno probabilità di sviluppare il Burnout.
Per prevenirlo possono essere messe in pratica alcune strategie:
- Personalizzare l’aiuto e comprendere che ogni relazione è a sé, dunque, evitare di spersonalizzare l’utenza ed evitare di percepirla come un oggetto e/o un numero;
- Lasciare libera espressione delle sensazioni del cliente/utente;
- Impegnarsi autenticamente ma evitando il coinvolgimento emotivo;
- Astenersi dal giudizio;
- Mantenere il segreto professionale.
Per fronteggiare il problema è necessario “prendersi cura di chi si prende cura”. La soluzione ideale è quella di attivare una buona prevenzione, in modo tale da evitare che chi si prenda cura di qualcuno abbia bisogno a sua volta di aiuto.
Quali sono i livelli di intervento?
(1) Cognitivo: maggiore conoscenza degli elementi di rischio che caratterizzano la malattia e dei fattori di rischio nel relazionarsi con essa;(2) Emotivo: consapevolezza delle proprie emozioni, motivazioni, e vissuti. Più si conoscono questi aspetti, più si sarà in grado di comprenderli e gestirli;
(3) Organizzativo: supporto tra colleghi e professionisti del settore. Durante la formazione alle professioni va riaffermata la formazione non solo tecnico-professionale, ma anche quella personale, in quanto persona.
Il trattamento del Burnout
Sul piano della prevenzione, Cherniss ha elencato le seguenti strategie da adottare prima che la sindrome si manifesti in maniera conclamata.Prima di tutto è necessario conoscere le dinamiche implicite della sindrome, analizzare gli obiettivi e le aspettative personali, verificare la proporzionalità delle relazioni per evitare un sovraccarico (da uno o l’altro lato) e creare strategie di coping per evitare il ritiro, tipica risposta di Burnout.
Secondo l’autore gli interventi sulla sindrome sono i seguenti:
(1) Organizzare mirati aggiornamenti di sviluppo professionale
Il primo intervento è rivolto ai lavoratori in prima persona con lo scopo di ridurre i loro i livelli di stress lavorativo. Si tratta di un’accurata pianificazione professionale che li guidi verso obiettivi realistici e raggiungibili, di modo che le aspettative siano altrettanto realistiche. Tale pianificazione deve innescare meccanismi di controllo e feedback e prevedere anche momenti di formazione mirata per sviluppare strategie di coping per affrontare gli eventi stressogeni; riuscire a comprendere per prevenire e/o affrontare i conflitti; incoraggiare la formazione di gruppo di sostegno e orientare preventivamente i nuovi arrivati sulle difficoltà del lavoro.
(2) Un cambio delle mansioni e delle strutture di ruolo
Si tratta di intervenire nelle dinamiche professionali, in particolare su mansioni, ruoli, e compiti; il tutto volto ad evitare il sovraccarico che può portare allo sviluppo della sindrome.
È indispensabile che i luoghi del lavoro diventino flessibili in funzione delle diverse soggettività e delle diverse motivazioni lavorative, garantendo una maggiore ridistribuzione dei compiti (gratificanti e non); una maggiore turnazione; permettere ai lavoratori di prendersi dei giorni di riposo quando necessario; permettere di prendersi delle ferie non solo nei momenti di vacanza prestabiliti annualmente (Natale, Pasqua, estate); limitare, ove possibile, il numero delle ore lavorative; garantire a tutti e tutte la possibilità di fare carriera; assumere del personale ausiliario e non demonizzare il part-time.
(3) Pianificazione della gestione professionale-lavorativa
Un ruolo fondamentale è rivestito dalla Leadership che deve da un alto dare il buon esempio e guidare il gruppo di lavoro verso il raggiungimento degli obiettivi; e dall’altro essere in grado di risolvere specifici problemi organizzativi e intercettare le priorità. Qui è necessario creare delle buone prassi organizzative e monitorare i livelli di conflitto e di tensione ed intervenire se diventano eccessivi.
(4) Problem solving: risolvere e affrontare conflitti
Sebbene il lavoro appaia ben strutturato in termini di ruoli e attività ben distribuite, possono sempre verificarsi situazioni che generano conflitti a lavoro (interpersonali/organizzativi). Cosa fare? In questo caso è necessario intervenire creando delle strategie risolutive dei conflitti organizzativi; accentuare l’autonomia del personale e le capacità di prendere decisioni; e programmare percorsi di orientamento e formativi per capire l’entità dei conflitti e intervenire. Anche assegnare obiettivi chiari suddivisi per ruolo e mansione, previene l’insorgenza del Burnout.
Quali i lavori più a rischio?
I lavori a rischio di Burnout possono essere diversi:- L’Operatore Socio-Sanitario (OSS): avendo a che fare con persone anziane che hanno bisogno di molto aiuto e persone allettate.
- L’insegnante: che può avere delle difficoltà relazionali con i propri alunni e portare tale professione ad avere difficoltà a gestire le richieste in entrata.
- Lo psicologo: che per eccellenza entra in contatto con persone che hanno bisogno di supporto. La loro utenza è particolarmente richiestiva.
- L’infermiere: come per l’OSS, anche loro entrano in contatto con un’utenza anziana, allettata e con problematiche di natura fisico-sanitaria.
- La riabilitazione del ritardo mentale: l’utenza con la quale lavorano è particolarmente richiestiva e può creare sconforto o frustrazione in termini di tempi e risultati.
- Il caregiver: anche chi si prende cura dell’altro come Assistenti familiari e domiciliari, badanti, possono incorrere alla sindrome di Burnout.
- Personale del reparto oncologico: l’utenza con cui lavorano è molto delicata. Spesso l’esaurimento emotivo si manifesta nei casi di pazienti oncologici adulti piuttosto che nei bambini. Infatti, in questi ultimi casi si può avere un decorso più lento e maggiore speranza di ripresa.
- Il lavoro “troppo” richiestivo: e infine, anche qualsiasi lavoro che diventa eccessivamente richiestivo può portare all'esaurimento emotivo caratteristico del Burnout.
Quali gli ambienti maggiormente predisponenti?
Gli ambienti maggiormente “a rischio” sono: Pronto soccorso; Terapia intensiva; Oncologia; Reparto patologie croniche; Dipendenze e Disturbi psichiatrici.Per fronteggiare il Burnout è necessario prendersi cura di chi si prende cura attraverso una buona prevenzione e interventi di trattamento quando necessario. Inoltre, le azioni preventive possono essere numerose e - non essendoci una terapia specifica - nasce la necessità di intervenire sul gruppo, sull’individuo e sull'organizzazione.
Fonti:
Ronald J. Burke and Esther R. Greenglass "A LONGITUDINAL EXAMINATION OF THE CHERNISS
MODEL OF PSYCHOLOGICAL BURNOUT" Soc. Sci. Med. Vol. 40, No. 10, pp. 1357-1363, 1995
- C. Maslach, M. P. Leither (2000). "Burnout e organizzazione. Modificare i fattori strutturali della demotivazione al lavoro". Erikson Edizioni, Trento